Le pitture rupestri del Sahara risalenti a cinquemila anni fa mostrano immagini di esseri umani vestiti con il pagne. La parola pagne viene dallo spagnolo paño che significa “panno” ed è stata adottata nel secolo XVII per designare un semplice pezzo di stoffa di circa 180 cm di lunghezza e circa 110 cm di altezza.
Elemento base dell’abbigliamento femminile, si porta in differenti maniere: o avvolto intorno ai fianchi o legato sotto il petto. L’usanza esige che l’avvolgimento inizi posando un lembo sul lato destro del corpo per terminare su quello sinistro. Insieme al boubou corto o lungo e al foulard è uno dei tre elementi dell’abbigliamento tradizionale.
Spesso il foulard viene utilizzato non solo come copricapo, ma anche per tenere il bebè alla schiena della mamma. Il pagne accompagna dalla nascita alla morte, regalo nei momenti di passaggio della vita: è spesso dono di nozze alla futura moglie e/o agli invitati del matrimonio, oppure è parte della dote della sposa.
Viene regalato in caso di nascite come augurio di prosperità e per suggellare momenti speciali: in molte zone dell’Africa nessuno lascerebbe partire un defunto senza seppellirlo con più pagne (che spesso hanno disegni e colori speciali) e/ o avvolgerlo in uno dei suoi preferiti. Il boubou (o grand boubou, o grand bubu), conosciuto soprattutto in Africa Occidentale e in alcune parti dell’Africa Centrale, è il nome generico che si dà a ogni abito o tunica che non aderisce al corpo e che si infila dalla testa.
Il nome proviene dalla lingua wolof (Senegal), mbubb, tradotta in francese come boubou. Le fogge e i ricami sono infiniti e i colori innumerevoli. Ogni zona dell’Africa ha i propri, così come ne conserva molte traduzioni a seconda della lingua parlata, per esempio, in Yoruba è agbada; in Hausa, è babban riga, in Tuareg, è k’sa grand boubou.
Il boubou è indossato sia dagli uomini che dalle donne ma i modelli e il numero di pezzi che lo compongono variano. In alcune zone dell’Africa le donne indossano il gran boubou sopra il pagne, mentre gli uomini sopra abiti occidentali. Il mio primo boubou (di tessuto bazin) è del Burkina Faso, dove mi era stato chiesto espressamente di indossare un abito tradizionale per una importante festività.
Ma il mio primo abito è burundese, fatto da un sarto a Bujumbura, dove nel 2013 coordinavo una ricerca sulla violenza sessuale per una ONG italiana. Dopo diversi incontri e riunioni con vari dirigenti del posto e dopo aver partecipato a prime teatrali e cinematografiche, ho iniziato a sentirmi realmente inadeguata con i miei tailleur, sciatta e inelegante.
Fuori luogo circondata da donne che con eleganza straordinaria indossavano robe, abiti e boubou dai colori dell’arcobaleno. Quindi sono andata al nuovo mercato (il vecchio era bruciato pochi mesi prima) a curiosare tra i pagne per scegliere il mio e l'ho affidato ad un sarto di Bujumbura per studiare insieme il mio modello. Certo, mi mancava il portamento delle donne africane, ma facevo la mia figura molto più che con il mio Made in Italy!
La sorpresa è stata anche scoprire come tutti apprezzavano il mio cambiamento di abbigliamento, al contrario delle mie preoccupazioni (“guarda la bianca che si appropria dei nostri abiti”). Tutti erano entusiasti nel vedere una donna bianca che apprezzava e indossava gli abiti del posto. A questo primo abito ne sono seguiti molti altri e ogni volta che arrivo in Africa lascio in valigia gli abiti che ho portato, vado al mercato e cerco un sarto!